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08/04/2009

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CIAO PAPA”, TI SCRIVO DALLE MACERIE…

Clicca per Ingrandire Ti scrivo col pensiero, perché qui mancano sia carta, che penne, che tavoli o scrivanie. C'è solo un mucchio di macerie tutt'intorno e tanta di quella polvere che mi ricopre, mi impasta la bocca e mi tiene chiusi gli occhi, che mi sento più una statua di gesso che un essere umano. Non so se sono ancora viva, papà. Se sto pensando da dentro questo guscio rotto che è ora il mio corpicino di ragazza di vent'anni o se mi sto già esprimendo da un'altra dimensione.

In ogni caso, il peso della casa dello studente che mi è crollata addosso lo sento ancora addosso, lo sento dentro, mi scoppia nella testa, mi dilania l'anima e mi toglie il respiro.

Lo so che quando hai costruito questa struttura, papà, tu non pensavi che io vi avrei alloggiato, perché essendo tua figlia io avrei avuto altre opportunità, perché essendo mio padre avresti avuto i soldi per mandarmi a studiare persino ad Harvard. Ma amo troppo il mio paese, e non l'ho voluto lasciare. E anche se abito in un appartamento in centro tutto mio e ricco di ogni comfort, papà, ho tanti amici e tante amiche che non hanno il mio agio, ma lo stesso grande cuore. Quando non siamo all'università, loro vengono a trovare me ed io vado a trovare loro.

Ieri eravamo appena rientrati da una pizza fuori, e ci siamo fermati qualche altro istante insieme nella casa dello studente. Un istante di troppo, forse. Forse se tu lo avessi saputo, papà, che l'amicizia alla nostra età non è una questione di affari, avresti costruito una casa dello studente più solida, con materiali meno scadenti. Perché una costruzione così recente non può semplicemente sbriciolarsi su se stessa in mezzo a decine di altri palazzi che restano più o meno saldi sulle loro fondamenta. Papà era un edificio pubblico, una qualche possibilità che ci sarei capitata c'era...

Ci avresti rimesso qualche migliaia di euro al massimo, papà, invece di rimetterci tua figlia.

Toni Augello

 Il diario montanaro

 

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