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16/03/2009

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FELICE CON PANE E POMODORO

Clicca per Ingrandire Sfogliando le news del “Diario Montanaro”, per caso o forse perché a volte il destino viene incontro alle pagine scritte dal nostro passato, alla ricerca di notizie che “aprano il cuore e illuminino la mente”, leggo sorpreso ed estasiato: “Jean Annot: una striscia bianca e rosa all’orizzonte…” di Emanuele Palena. E come preso da un’emozione forte che non si riesce a descrivere, che la ragione non svela e il cuore impone, a distanza di mesi continuo a rileggere quell’immagine scritta da chi, “artista delle parole”, ha saputo creare la giusta atmosfera per avvicinarci ai luoghi nascosti della nostra anima e ai meandri segreti del nostro cuore, laddove il ricordo di chi ha conosciuto Jean (nelle foto alcune delle sue opere; ndr) si fa vivo e profondo, quando non prepotente, dirompente, a tratti, e spesso accusatorio.

E a Isabella, scrittrice e poetessa di Vieste, che ricorda Jean felice con pane e pomodoro mentre sul suo terrazzo del centro storico dipinge, chiedo il perché di questa presenza del passato, discreta ma ingombrante, che si fa ansia per tramutarsi spesso in angoscia. Isabella, che non ci riflette un attimo, è già preparata alla risposta, ci ha ragionato spesso e a lungo: “Jean, da grande qual era, dava tanto e pretendeva niente, come uomo e come artista e, incredibile a dirsi, le tracce della sua potente umanità si manifestano meglio a diciannove anni dalla sua scomparsa avvenuta in Ghana.”

E sempre Emanuele su Jean: “… da ogni viaggio tornava arricchito e in ogni luogo lasciava qualcosa di sé perché solo così si può crescere e migliorare se stessi. Solo con il continuo scambio di ricchezze personali”. Doveva essere proprio ricco Jean, se oggi quel qualcosa che vive in noi di lui ce lo ripropone con forza, con ammirazione, con rispetto. Con il rimpianto di una conoscenza vissuta nel passato e nuovamente riflessa nel presente.

Esponeva i suoi acquerelli alla festa de “l’Unità”, trasandato quanto basta all’artista giramondo, fiero nel suo umile guardare oltre le piccole cose terrene, riconoscente a vita per un pezzo di pane e un sorso di vino condivisi. Sono queste le immagini che tornano lucide e fanno pensare con un forte senso di colpa: “Perché non abbiamo dato di più?” Oppure, più semplicemente: “Che cosa abbiamo dato noi?”

Ancora le parole rivelatrici di Emanuele “… di pochi eletti capaci di saper leggere le varie pieghe della vita e racchiudere su una tela bianca la magia delle cose… Jean, Juan per i montanari, aveva questa dote…” Ed è grazie anche a questa dote artistica, e profondamente umana, che Jean, “inquieto cittadino del mondo”, discretamente e in punta di piedi, sapeva unire la propria solitudine alla nostra, cogliendo l’attimo giusto, pronunciando la parola attesa, suggerendo a bassa voce il consiglio opportuno, incoraggiando l’idea preziosamente condivisa.

E’ così che Jean senza saperlo, e sicuramente senza volerlo, diventava l’intellettuale che rivendicava i diritti, che pretendeva la tutela dei beni culturali materiali e immateriali, il rispetto della dignità delle mille etnie. E pace, tanta, dai governanti e dai cittadini del mondo intero. E sempre “in punta di piedi” Jean, un vissuto complicato da portare e un silenzio difficile da vivere nel giardino segreto dove nascono i fiori della speranza, appariva il maestro. Il maestro umile e modesto che indicava la vera via dell’impegno civile. Il maestro, il cui sicuro e stabile sostegno oggi tanto ci manca.

Lui, tra i migliori fiori di quel Gargano che non vuole e non può dimenticarlo, non deve mancare nei ricordi, laddove i sentimenti di amicizia e di fratellanza si fanno intensi e dove la coscienza rimane imperturbabilmente chiara e limpida. Mi sembra di rivederlo spesso Jean, con il cavalletto sotto il braccio, a San Francesco, scendere le antiche e severe scale che portano al trabucco, girarsi verso la sommità della scalinata per un sorriso sincero, cordiale, luminoso. Un sorriso che l’ultima volta mi è parso spegnersi alla vista dell’ultimo scempio ambientale e paesaggistico a San Francesco.

Ancora una volta l’uomo, nel continuo e incessante tentativo di superare i limiti della natura umana sfidando Dio, continua imperterrito a rimuovere la storia, a oltraggiare la natura, a offendere le intelligenze. Ancora una volta abbiamo perso caro Jean. Ma le idee, le tue, con te voleranno eterne sulle ali della libertà.

Michele Eugenio Di Carlo


PS. Nei commenti all’articolo di Emanuele Palena, pubblicato dal Diario Montanaro il 14 luglio 2008, l’assessore all’Urbanistica di Monte S. Angelo, Donato Taronna, assicurava che in memoria di Jean Annot sarebbe stata dedicata una via pubblica. Sono sicuro che anche Vieste saprà ricordare il grande artista e, soprattutto, la persona, dignitosamente buona e onesta.

 Redazione

 

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