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15/03/2009

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BENEDETTO XVI, IL CANE E LA FIBRA OTTICA

Clicca per Ingrandire Deve essergli tornato alla mente e ripresentato agli occhi in tutta la sua enigmatica drammaticità. Il bassorilievo (foto del titolo; ndr) dell’ambone della Cattedrale di Troia era già stato oggetto e copertina di un’erudita pubblicazione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, “Wesen und Auftrag der Theologie” (Natura e Compito della Teologia ) - Johannes 1993. A riguardarlo impressiona come sintetizzi, con rara forza espressiva, lo stato d’animo di un mortificato Benedetto XVI. Amareggiato dalle divisioni della Curia romana, nonché dalla disinvoltura di critiche approssimate e precipitose, che da quei corridoi non hanno esitato a investire lo stesso trono dell’odierno successore di Pietro.

“Purtroppo ancora oggi nella Chiesa c’è il mordersi e il divorarsi a vicenda, come espressione di una libertà male intesa”, ha ammonito il Papa con le parole di Paolo, in preda allo sconforto, in una lettera ai vescovi, definita “triste, ma necessaria” dal cardinale Cosmo Francesco Ruppi. Iniziativa inusuale. Motivata dalla leggerezza della commissione “Ecclesia Dei”, nella gestione del “suo gesto di misericordia” verso la comunità lefebvriana. E conseguente alla sorpresa di fedeli e tonache di Curia che “hanno pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco”.

Il bassorilievo nella Basilica romanica pugliese mostra tre animali, che l’artista scolpì come riflesso delle condizioni della Chiesa ai suoi tempi. Un agnello sopraffatto dalla potenza divoratrice di un leone e un cane da pastore, che col suo morso coraggioso distoglie a sua volta la belva dalla presa sull’inerme. Non è potente quanto il leone e potrebbe esserne la prossima vittima, ma entra con decisione nel conflitto e cambia la piega degli eventi.

Il Papa, che naturalmente si identifica nella sua Chiesa (l’Agnello attaccato dal leone feroce, che lo tiene tra i suoi denti e ne ha già divorato una parte del fianco), si è sentito vittima indifesa. In balia di una vicenda strumentalmente gonfiata. Con uno scatto intellettuale degno del raffinato teologo, più che del pragmatico sovrano, riprende allora il rudimentale scettro del pastore e incita il cane della fedeltà, della solidarietà e del coraggio, nell’impavida azione di salvataggio.

In un sol colpo, attraverso la lettera, quel cane moltiplica la poliedricità dei suoi riflessi. Dà a Benedetto XVI la possibilità di ringraziare gli amici ebrei, in particolare il Rabbinato di Gerusalemme, per non aver cavalcato il malinteso e averlo anzi “aiutato a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia”. E gli fa cogliere, poi, l’opportunità del momento difficile, per decidere un’innovata attenzione alla Rete e alle sue sofisticate trame d’informazione, per modernizzare ulteriormente gli approcci di una Chiesa dallo sguardo rivolto al futuro.

L’intero insieme del bassorilievo troiano diventa, in questo frangente, specchio di una ciclicità senza tempo. Questa volta la teologia lascia il campo alle vicende della quotidianità. E l’arrivo della fibra ottica del web, tra il fumo delle candele e le note dei salmi, ci dice che i tempi sono maturi per tornare alla trasparenza, perduta nella polvere dei secoli, di vecchi uomini di mare con le rughe segnate dal sale. Uomini semplici, chiamati un giorno a cambiare il mondo, da un Maestro che li esortò a rimanere pescatori e, coltivando la fede, diventare audaci pescatori di anime.

Antonio V. Gelormini

 Redazione

 

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