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22/02/2009

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IL SAPORE DELLA RISCOPERTA

Clicca per Ingrandire L’APPUNTO. Nonostante il cineforum sia a ingresso gratuito, continuiamo a lamentare la scarsa affluenza di pubblico. Evidentemente in paese non si sente la mancanza di una sala per proiezioni cinematografiche. Il test non è significativo al 100 percento, dal momento che lo spirito del cineforum non è quello della novità per la novità. Pare che lo sport preferito di molti, che vanno in una sala a “spendere” per vedere un film, sia quello di battere sul tempo tutti i propri conoscenti, forse per il gusto di togliergli il piacere della scoperta, anticipandogli trama e finale della storia. Ma ognuno ha il suo passatempo preferito.

IL FILM. Rivedere “The elephant man”, a distanza di quasi trent’anni, ha il sapore della riscoperta di un classico, perché del classico ha l’impeccabile bellezza, inaudita, di un bianco e nero degno di Murnau. La ricostruzione d’epoca, la Londra del 1884, restituisce le tipiche atmosfere sedimentate nella memoria dalle letture di Dickens. La biografia di J. Merrick scritta dal suo benefattore, il chirurgo Treves, riesce a commuovere nonostante la fredda ripugnanza per le impalcature da trucco cinematografico tipicamente lynciane.

LA TRAMA. La grande metafora dello spirito umano, supremamente evoluto, degno della civilissima alta società inglese (nutrita a Shakespeare e filantropia principesca), toccato in sorte all’ultimo dei figli della grande regina Vittoria, prigioniero di una carne resa mostruosa dall’azione di un pachiderma - che lo aveva travolto mentre era in gestazione all’età di quattro mesi - è grandiosamente rappresentativa della condizione del malato inguaribile.

Il deforme scherzo di natura conduce una vita da fenomeno da baraccone, sottoposto a fustigazioni sulla carne priva di pelle e resa spugnosa dalla ripugnante malattia che l’affligge, da un padrone che lo ritiene il proprio “tesoro”, fonte della propria abietta ricchezza. La mostruosità alletta la curiosità dei figuri più depravati, che irrompono di notte nella stanza d’ospedale in cui l’uomo elefante ha trovato buona accoglienza, grazie all’interessamento personale della regina.

IL CLOU. La scena più forte di tutto il film, dopo il calpestamento degli elefanti del corpo della madre incinta, è quella dei tormenti ai quali i depravati sottopongono l’infelice Merrick in una notte maledetta che finisce con il suo rapimento da parte dell’ex padrone, che se lo riprende per esporlo alla malsana curiosità del popolo ignorante come campione di abbrutimento alla stregua delle bestie con le quali condivide la gabbia.

Aiutato a scappare da un gigante e dai nani del baraccone, riesce a far ritorno a Londra dove, sceso nella stazione, attira la curiosità di alcuni bambini che lo rincorrono. Affrettando il passo per sfuggirgli travolge una bambina e le persone che assistono al fatto danno inizio a una caccia al mostro. Mentre lui protesta di non essere né un mostro, né un animale, viene prelevato dalla polizia che lo riporta all’ospedale dal medico curante.

LA FINE. Riprende la vita da uomo rispettato e dopo una serata in teatro in cui tutti si alzano per applaudirlo, finalmente l’uomo, riconciliato con i suoi simili, accetta la necessaria morte posando la pesantissima testa supina come tutti gli individui normali e si lascia addormentare da una morte umana. J. Merrick torna, così, uguale a tutti i suoi simili.

Maria Mattea Maggiano

 Redazione

 

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