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18/02/2009

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93 E NON LI DIMOSTRA!

Clicca per Ingrandire Oggi è il 93.mo compleanno di Antonio Piccininno, auguri! La straordinaria occasione di avere fra di noi uno degli ultimi cantatori di tradizione del Sud Italia non può che indurci a riflettere, ancora una volta, sul ruolo della testimonianza e sulle prospettive della musica popolare. Questo appuntamento di compleanno è così per me diventata l’occasione per fare un punto della situazione “in itinere” sullo stato dell’arte nel dibattito in proposito.

E così, come esattamente un anno fa richiamavo la necessità di non smettere mai di apprendere dagli antichi cantatori e suonatori non tanto le etichette d’un mondo che non c’è più quanto lo spirito di quel mondo, spirito che sotto forme diverse può restare identico nella sostanza sia pur non nella forma, così quest’anno vorrei soffermarmi su un altro aspetto del dibattito fra tradizione e innovazione.

Negli ultimi anni mi sembra di aver assistito a Carpino (ma comunque e per fortuna molto meno che altrove) a una progressiva spettacolarizzazione della tarantella di Carpino e del Gargano, laddove il palcoscenico si mostrava come ribalta di una rappresentazione - a carattere ludico - quasi imprescindibile per la realizzazione delle performances artistiche. Questa forma di resa spettacolarizzante, se per un verso ha il merito di ripresentare e preservare una porzione di memoria culturale dall’oblio, dall’altro ha portato a una defunzionalizzazione dei canti carpinesi che appaiono ai più oggi come canti ludici fini a loro stessi.

Non è superfluo invece ricordare che il vero contesto di realizzazione di tali pratiche sonore e canore era ben più complesso e mostrava risvolti socio-antropologici che possiamo per brevità qui individuare nella pratica di senso complessa incarnata dalla serenata d’amore “ad personam” (fatta non solo di sonetti e strofette ma anche – e soprattutto – dalla Canzone).

Tuttavia lo spirito dei tempi ci offre questo potente sistema di comunicazione - la rappresentazione scenica - che individua un recitante (un performante) e un pubblico che partecipa in quanto assiste, fruisce e semmai valuta la performance. E’ lo schema della comunicazione teatrale-televisiva che pervade anche ritmi, culture e contesti che per estrazione e vocazione erano a quel sistema (moderno-consumistico) alternativi, estranei e critici. Tuttavia quello schema comunicativo prevale. Ma per fortuna non del tutto.

E un notevole esempio ce lo dà proprio Antonio Piccininno, il quale sa certo ben comportarsi da attore sul palcoscenico ma allo stesso tempo quando scende di lì non dismette il suo abito, ma al contrario lo continua (e forse anche meglio) a vestire tra la gente, nei suoi posti abituali della piazza, nel paese, a casa sua. Il suo continuare a cantare, a darsi alla gente e agli amici, a prescindere da quale spazio sociale del paese occupi in un dato momento il suo corpo, la dice lunga sulla autenticità di un uomo che non “fa” il cantatore, ma lo è.

Il suo valorizzare lo spazio urbano di Carpino al di là e al di fuori del palco e dei palchi ci suggerisce forse un modo per indicare a noi stessi e al mondo un modo diverso e forse un po’ più motivato e organico di proporre e veicolare forme e sostanze di un patrimonio artistico di musica popolare come quello di Carpino e del Gargano.

Sarebbe bello, ad esempio, vedere dedicata una serata allo spontaneismo in piazza e in strada nel paese, a gruppi volontari di cantatori e suonatori “sciolti” catalizzare a turni non prestabiliti l’attenzione dei passanti che non saranno più classificabili come turisti-fruitori di un bene di consumo, bensì viaggiatori e produttori essi stessi di un bene immateriale.

E’ secondo questa logica che sarebbe veicolabile un sistema di valori basato non più sull’etica del consumo, cioè sul prodotto offerto da consumare a opera di chi è stato già previsto come consumatore dall’organizzazione del Festival, bensì su quello della produzione partecipata incrociata di chi viene e di chi resta, associando a forme di spettacolarizzazione significativi momenti di co-produzione spontanea, che di certo non dispiacerebbero agli anziani cantatori e suonatori di Carpino.

Una dimensione partecipativa che forse risolverebbe anche le beghe di gelosie e visibilità tra di loro poiché a tenere il banco non sarebbe più il monopolio di un palco ma ciascuno si sceglierebbe il suo palco e la sua referenza. In questo senso sarebbe auspicabile, a mio avviso, far vedere – o far intra-vedere – tra le maglie del tempo dello spettacolo un altro tempo, quello della condivisione dall’interno e partecipata, come quella che ci suggerisce involontariamente Antonio Piccininno nella sua tensivizzazione dello spazio della piazza, dentro e fuori la piazza.

Quando Antonio, tante volte, dice a me come ad altri, negli spazi del gazebo coperto della Pro-loco, “aspettami qui, ora devo andare a cantare sul palco, poi quando finisco ritorno e riprendiamo a parlare e a cantare e suonare, non ti muovere”, pare voler suggerire proprio questo. Così, forse, si potrebbe ricominciare a rintracciare e praticare quelle precondizioni spontaneistiche che nella notte dei tempi hanno generato le più variegate e affascinanti forme di musica popolare.

Amedeo Trezza

PS. L’Associazione Culturale “Punto di Stella” si associa agli auguri per un “mostro” del patrimonio intangibile e auspica ancora lunghi anni di partecipazione attiva al movimento intellettuale di cui Antonio Piccininno costituisce uno dei punti nodali, se non il più essenziale, rappresentativo e producente.

 Uff. Stampa Ass. Culturale “Carpino Folk Festival”

 

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