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12/02/2009

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“FEDERALISMO AMBIGUO”

Clicca per Ingrandire Le paure finanziarie della Puglia, della Lucania e del resto del Mezzogiorno non erano poi così infondate. L’attuazione del Federalismo fiscale potrebbe far perdere un miliardo di euro all’anno al Sud. Così come è formulato, il ddl Calderoli-Fitto non riconosce le specificità meridionali, quando invece dovrebbe rispettare i criteri di equità e solidarietà, e “negherebbe di fatto la sua condizione di sottosviluppo”.

E’ quanto ha detto il direttore della Svimez Padovani nell’audizione di fronte alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera, sul testo licenziato a gennaio dal Senato. “Se c’è ancora spazio per la visione unitaria degli interessi del Paese, nella quale continuiamo a credere nonostante i segnali negativi, non può non collocarsi in posizione preminente il problema dello sviluppo del Mezzogiorno”.

Mancano in particolare certezze sulla perequazione infrastrutturale e ci sono “forti implicazioni sia costituzionali sia sul piano della sostenibilità finanziaria” per quanto riguarda il passaggio dalla spesa storica al costo standard. Anzi, per quest’ultimo punto, nel testo “si celano ambiguità e pericoli”. Non minori preoccupazioni ci sarebbero per i Fas, i fondi per le aree sottosviluppate che rischiano di essere impiegati per finalità differenti da quelle originarie dello sviluppo del Sud.

In altre parole, “troppi i segnali negativi” per la società che si occupa dello sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno secondo cui, per una “seria e stabile riforma dell’intero sistema di finanziamento delle amministrazioni pubbliche centrali e locali”, bisogna ricorrere “a una forte politica per lo sviluppo e la coesione”.

Secondo i calcoli dell’Isae, l’Ente pubblico non governativo di ricerca legato al Ministero del Tesoro, a sua volta ascoltato ieri durante l’audizione parlamentare, l’attuazione del Federalismo comporterebbe per lo Stato la rinuncia, a favore degli enti locali, ben 170 miliardi di euro di imposte. Sarà dunque sostenibile la riforma senza compromettere
la tenuta delle finanze pubbliche?

Quella fornita dall’Isae è una delle prime simulazioni che traducono in pratica il ddl il cui varo è atteso per aprile, anche se la proiezione riguarda solo i trasferimenti da decentrare. Regioni, Province e Comuni, detto altrimenti, avrebbero a disposizione questa somma: basterà per tenere in piedi le autonomie locali e rispettare il patto di stabilità interno?

Peraltro, oltre a vari sbilanciamenti (si salirebbe a 121 miliardi se si dovessero eliminare i trasferimenti oggi in vigore ma non previsti tra le fonti di finanziamento dell’articolo 119 e che andrebbero coperti con compartecipazioni del fondo perequativo), dai calcoli emergerebbe comunque un buco di 22 miliardi di risorse da trasferire.

Stando ad alcune prove applicative, che considerano Iva e Irpef come imposte utilizzabili, si potrebbe arrivare a una aliquota Iva del 66% e del 55% per quanto riguarda l’Irpef di cui beneficerebbero Regioni, Province e Comuni. Tra i tributi che potrebbero essere decentrati, secondo l’Isae ci sono le imposte sui giochi, i tabacchi, il patrimonio immobiliare: garantirebbero un gettito di 48 miliardi di euro.

Barbara Minafra

 quotidianopuglia.it

 

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