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05/02/2009

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CINEFORUM PESCHICI: APPUNTAMENTO N.4

Clicca per Ingrandire In “Primavera, Estate, Autunno, Inverno... e ancora Primavera”, il regista sud-coreano Kim Ki-duk osserva due esseri umani immersi nell'imperturbabile scorrere del tempo, scandito dalla ciclicità delle stagioni. Ne seguono tutte la fasi della vita, dalla nascita alla morte, in relazione alle stagioni. Film dal respiro molto ampio che utilizza frequentemente campi lunghi e lunghissimi, così da suggerire una dimensione filosofica.

Le sensazioni che uno può aver provato ieri, che sta provando ora e che potrà provare domani non sono molto diverse tra loro, così le quattro stagioni si ripetono ciclicamente, ma se ci si avvicina, come accade nei primi piani, si potranno vedere persone che provocano dolore e osservare che la gente, spesso, rende difficile l'esistenza altrui. Nel film ci sono molti momenti cruenti e metafore molto forti sulla vita umana.

Mentre la religione, ultimamente, è per lo più utilizzata come una sorta di "maschera", come una maschera dei popoli, diversamente il regista affronta il compito di parlare della natura umana, dei pensieri dell'uomo, convinto che la cosa più importante è comprendersi a vicenda piuttosto che comprendere la religione. La comprensione umana non deve passare per la religione.

Nei molti paesi dove il film è stato accolto, se - prima di vederlo - il pubblico si aspettava un film sul buddismo, negli incontri dopo le proiezioni la gente non pensava di aver visto un film sul buddismo e nemmeno riguardante la religione. Il regista ha affermato in un’intervista che, pur avendo ricevuto un'educazione cristiana, si sta allontanando da qualunque credo religioso, poiché pensa che la religione debba in qualche modo confortare la gente ma, al contrario, oggi la sta tradendo e ancor peggio sta tentando di controllarla.

I film di Kim Ki-duk presentano personaggi inclassificabili nelle categorie tradizionali di bene e male, di bellezza e bruttezza. Allo stesso modo, anziché definirli buoni o cattivi, lo spettatore è portato a dubitare dei limiti di classe e di genere, a mettere in discussione i concetti di normalità e anormalità, ordine e disordine, di centro e di periferia. E’ sempre presente un personaggio che assolve un ruolo destabilizzante.

La definizione di “grottesco”, applicata ai film di questo regista, indica il crollo della stabilità mentale e delle sue varie espressioni culturali. Mettere in scena la crudeltà della vita è frutto della sua aspirazione a trovare un senso alla violenza del mondo in cui viviamo. L’orrore e il sadismo sono mostrati e utilizzati per cercare di riportare l’uomo a uno stato precedente alla sua contaminazione con la realtà negativa.

Maria Mattea Maggiano



 Redazione

 

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