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07/01/2009

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SEMPRE DI MODA GLI ANTICHI APPELLI

Clicca per Ingrandire “Salviamo Càlena da un’agonia di pietra!” fu l’appello lanciato da Enzo d’Amato, e raccolto l’8 settembre 2002 nel primo convegno organizzato a Peschici dal Centro Studi Martella. Fu l’avvio di una battaglia civile che non si è mai fermata. Neanche in Tribunale, dove fummo trascinati nostro malgrado, per aver difeso a spada tratta il diritto di Càlena ad esistere. Tante promesse istituzionali di risoluzione del caso: di concreto NULLA. Càlena ha continuato ad agonizzare. A morire lentamente.

Finalmente, dopo anni di tentativi andati a vuoto, il 29 settembre scorso, è stata firmata una convenzione tra i “possessori” di Càlena e il Comune di Peschici. Qualcuno ha visto in quell’accordo la resurrezione, altri la débacle dell’abbazia medievale. Nel gioco del dare-avere forse non hanno vinto i “possessori”: ha vinto soltanto Càlena. Non era più possibile assistere impotenti allo sgretolarsi delle sue pietre secolari. Gridavano mute. Reclamavano un aiuto.

Ora, se non si agirà nel più breve tempo possibile, la copertura lignea dell’abside crollerà; il campanile a vela, che ospita un prezioso bassorilievo di Madonna orante risalente al 1393, e completamente ricoperto da vegetazione invasiva, si sfalderà. La “chiesa antica” dell’11° secolo, segnalata dal Bertaux all’inizio del Novecento per una rarissima tipologia di cupole in asse, divisa in due ambienti separati, continuerà a “ospitare” attrezzi agricoli e trattori. Auspichiamo che l’avvio del “rinascimento” di Càlena avvenga con l’inizio di questo nuovo anno, il 2009. Con quali finanziamenti? Eterno dilemma cui vorremmo fosse data finalmente una risposta istituzionale. Affidabile. Non bugiarda.

Non è più possibile continuare a lottare contro i mulini a vento, contro i muri di gomma. Per porre il monumento all’attenzione nazionale, per sensibilizzare l’opinione pubblica, abbiamo pubblicato libri, scritto innumerevoli articoli su stampa e web, avviato petizioni e raccolto firme, organizzato convegni, pubblici dibattiti. Siamo stanchi. E non abbiamo più parole... Vorremmo che fosse posta alla vicenda la magica parola FINE. Secondo noi, lo abbiamo ripetuto più volte, il restauro di Càlena “deve passare”, con decisa assoluta priorità, dai fondi europei di “Area Vasta Capitanata 2020”. La durata della convenzione con i “possessori” del monumento è di soli quarant’anni e il restauro va avviato immediatamente. Non è più possibile differire, aspettare oltre. Non è più possibile derogare e arroccarsi su sterili campanilismi indegni di quella "Città Gargano" vagheggiata dal prof. Fiorentino, oggi ritenuta idea vincente per il rilancio del Promontorio.

I sindaci, i rappresentanti istituzionali nei vari gradi (Provincia, Parco del Gargano) e tutti coloro che nella “cabina di regia” sono preposti alla decisiva scelta delle migliori idee progettuali da proporre alla regione Puglia per l'accesso ai finanziamenti europei, sappiano che Càlena non è soltanto un monumento di Peschici: è una delle più antiche abbazie europee (872 d.C). Un bene che appartiene non solo al Gargano, ma alla Puglia intera e va restituito alla pubblica fruibilità non solo dei residenti dell’Area vasta, ma dei turisti italiani e stranieri che ogni anno scelgono Peschici non solo per il mare e il suo paesaggio, ma anche per la sua storia. Testimoniata finora da un portone eternamente sbarrato, nonostante affianco vi sia il totem del Parco del Gargano che inserisce Càlena nel circuito religioso dell'area protetta.

Un bene collettivo non fruibile. Un bene culturale di pregio inopinatamente dismesso. Per troppo tempo rimosso dalla memoria collettiva. MAI tutelato dall’organismo preposto: la Soprintendenza di Bari. Un monumento importante, l'abbazia di Santa Maria di Càlena, visitata da Emile Bertaux, uno dei più importanti storici dell’arte del mondo, che nel volume “L’art dans l’Italie meridionale” (1904) le dedicò alcune pagine, inserendovi anche i prospetti e i disegni della “chiesa nuova”, costruita secondo modelli architettonici esportati dalla Borgogna nei regni crociati, e riportati dalla Terra Santa in Europa da maestranze itineranti di scalpellini che percorrevano la “Via Francigena”.

Càlena possedeva consistenti beni immobili nell'intero Gargano; controllava oltre ai pascoli, i diritti di pesca sul lago di Varano, mulini sui piccoli corsi d’acqua nella zona di Rodi e Vico del Gargano, e alcune saline nei pressi di Canne; tutti elementi di fondamentale importanza nell’economia medievale. Le testimonianze di questa presenza monastica nel territorio del Gargano Nord sono oggi un patrimonio di memorie sconosciuto ai più. E’ necessario intervenire con urgenza, per evitarne la scomparsa.

Come l’abbazia di Càlena, tutte le antiche abbazie garganiche da essa dipendenti versano oggi in uno stato di totale abbandono e decadenza: solo un tempestivo intervento potrebbe salvarle da un irreversibile degrado. I nomi? La Santa Trinità di Monte Sacro a Mattinata, San Nicola Imbuti sul Lago di Varano, l'abbazia di Montenero in agro di Vico, san Pietro in Cuppis in agro di Ischitella. Si potrebbe creare un inedito itinerario storico-religioso-naturalistico dal suggestivo titolo: “Andar per abbazie”. Da Peschici giungerebbe fino a Mattinata, con tappe lungo le antiche abbazie sparse per tutto il Gargano. L’itinerario potrebbe chiudersi con una mini-crociera a Tremiti, dove sorge l’abbazia madre di Càlena: Santa Maria a Mare.

E' questa la nostra idea di Città Gargano: la Cultura e la Storia dei luoghi che si riattualizzano, nel terzo millennio, come volàno di rinascita dell'intero territorio. Partendo (perchè no?) dal restauro di Càlena e delle abbazie a essa collegate che fin dal lontano Medioevo incivilirono le popolazioni del Promontorio all'insegna del salvifico motto: "Ora et labora!". Diceva Marcel Proust: "La vera terra inestetica non è quella che l'arte non fecondò, ma quella che, coperta di capolavori, non li sa né amare né conservare; quella che distrugge pezzo per pezzo i suoi più bei palazzi per venderne le parti a caro prezzo, per cupidigia o per nulla, ignorandone il valore; la morta terra dove l'arte non abita più cacciata dalla sazietà, dal disgusto e dall'incomprensione".

Teresa Maria Rauzino (presidente Centro Studi Martella di Peschici)

 Facebook (foto Diemme)

 

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