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05/01/2009

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OGGI LI CHIAMEREBBERO ZOMBI

Clicca per Ingrandire Tra il 5 e il 6 gennaio torna nelle menti dei più un’antica leggenda rignanese: la processione dei morti dell’Epifania, una leggenda che fa ancora accapponare la pelle dei più. Gli anziani del paese parlano di defunti tornati in "vita" per inscenare una lunga sfilata e omaggiare chissà chi, chissà cosa, tra lamenti, urla e rumori di catene. Lo scenario da tener presente è quello di un piccolo borgo medievale, la Rignano di un tempo (ma anche oggi qualcuno crede ancora di vedere i morti e si trincera in casa), dotata di strette viuzze e vicoli contorti dalla maestria architettonica di costruttori d’altri tempi.

Il riferimento, ovviamente, è al quartiere "La Rotte" (la grotta), quello più antico del paese e nel contempo protagonista suo malgrado di storie e leggende superate e ormai scomparse del tutto dalla memoria collettiva delle nuove generazioni. E’ il caso proprio della vicenda che stiamo per narrare, quella delle vicende tragicomiche di ’mpà Michëlinë (compare Michele), pastore arzillo e parlottone, ma troppo avvezzo al vino nostrano.

La notte di Pasqua-Epifania, racconta Zje Jangëluzzë (zio Angelo, un anziano del paese), il nostro malcapitato aveva ricevuto il compito di portare in dono al padrone don Antonio (un ricco proprietario terriero di Rignano) un tenero capretto, perché il fortunato potesse gustarlo la domenica successiva. Prima di partire per la sua missione, ’mpa Michëlinë decise di prendersi un boccone e guarire la sua arsura alla gola con un po’ di vino di ’mpà Nëculinë (compare Nicola). L’arsura, a quanto pare, era come al solito esagerata e bevi bevi finì un fiasco intero di "sangue di Cristo", come amava chiamare quel dolce vinello.

Avvinazzato come non mai, ’mpà Michëlinë decise di avviarsi verso il paese. Tra contorte "revotë" (sentieri), nebbia accecante, freddo pungente e qualche altro sorsetto di vino, il nostro arrivò a Rignano in preda all’abbiocco più totale. Stanco e sfinito dall’alcool, preferì riposare per qualche ora su un mugnale, per poi consegnare il capretto al signorotto di turno. Era ormai sera. La campana comunale aveva rintonato, infatti, già le sei note pomeridiane. All’epoca orologi non ce n’erano e per sapere l’ora ci si affidava al sole o alla campana del paese.

Passarono sei lunghe ore. A ’mpà Michëlinë pareva di aver dormito solo qualche minuto. Era stanchissimo. Gli occhi lacrimavano sangue e sudore di una vita passata a pascolare pecore e capre e fare formaggi e ad accudire i nove figli e la moglie e poi le due mucche e le sette galline. Crollò di nuovo per il sonno. Passarono diverse ore dall’arrivo in paese. Nella mente di Michëlinë, o dovremmo dire nei sogni, passarono tutti gli anni della sua vita. Il primo figlio, il matrimonio combinato dalla madre, una moglie rompiscatole e grassa come due vacche, i formaggi sequestrati dal signorotto don Antonio, il pancotto di nonna Miuccia (Filomena) e il vino fantastico di Zje Nëculinë.

Rintonò la campana ben dodici volte. Michëlinë si alzò di scatto, ci ricorda Zje Jangëluzzë, e gridò: "Madonna è già mezzogiorno, devo sbrigarmi, non ho dormito qualche minuto, ma quasi un giorno intero, don Antonio sarà furibondo e poi mia moglie...". Non finì di pronunciare il nome di Chiarinë (Chiara, la consorte) che venne distolto da un luccichio in lontananza. "Chi è?", intimò con voce minacciosa, ma in realtà affranta dal terrore. "Chi è? Guarda che prendo il fucile, mi dici chi sei?".

All’improvviso vide moltiplicare all’infinito quelle lucine. Erano candele e degli uomini incappucciati le portavano in mano emettendo lamenti e bestemmiando come pazzi. La folla di strani figuri proseguiva inesorabile verso di lui. "Chi siete? Chi siete?" continuò invano a ripetere ad alta voce. Il cuore batteva a mille, la voce era diventata rauca come non mai. E continuò a pensare alla moglie e ai nove figli e alle galline e alle pezzotte di cacio e al pancotto di nonna Miuccia.

"Non preoccuparti ’mpà Michëlinë, siamo amici tuoi, non ci riconosci?" si sentì dire dal capo-processione. Era mastrë Pëppinë (mastro Peppino, il falegname), grande amico di famiglia e lavoratore instancabile. Udendo quella voce amica il nostro si riprese di colpo. "Vieni con noi, ti divertirai un mondo dove stiamo andando", gli disse Pëppinë. "Non ho voglia di divertirmi, anche perché devo consegnare questo capretto a don Antonio, sennò lo sai che frustate!", ribatté Michëlinë. "Fai come credi, arrivederci a presto, caro Michëlinë".

La processione proseguì lungo il suo cammino. Michëlinë riusciva a scorgere ogni tanto qua e là, tra la penombra dei cappucci, il volto di qualche conoscente, ma non si ricordava chi fossero. Non ci pensò più di tanto, proseguì verso il palazzo di don Antonio e consegnò al guardiano il capretto dovuto. Si scusò e riprese la strada del ritorno. Giunto a casa trovò la moglie inferocita come non mai: "Dove sei stato tutta la sera, è da stamattina all’alba che manchi da casa. Le pecore e le capre le ha portate Mariettina (la figlia più grande) a pascolare, lo sai che Giggino ha preso la puntura (la broncopolmonite). Sciagurato!".

"Senti, ero sfinito e mi sono riposato un pochino sul mugnale di cummara Terèsë (comare Teresa), e che ho fatto di male, il capretto l’ho consegnato. Senti, ho incontrato mastrë Pëppinë, era in processione con tanta altra gente, mi sembrava un po’ pallido però, non è che è malato?". "Madonna mia! - esclamò Chiarinë. - Hai visto i morti! Che disgrazia..."

Come andò a finire? Zje Jangëluzzë ci ricorda che di lì a poche ore Michëlinë "morì d’infarto a testimoniare che la leggenda di paese è veritiera e che chi vede i defunti la notte di Pasqua-Epifania è destinato a morire pure lui". La leggenda, per finire, narra dei morti in corteo lungo la via processionale del paese, quella che da secoli ospita cerimonie sacre di altro spessore religioso e cristiano. Cosa accadrà quest’anno?

Angelo Del Vecchio



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