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20/10/2008

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UN PELLEGRINO NELLA FORESTA OMBROSA

Clicca per Ingrandire Cesare Brandi (1906-1988 – foto del titolo; ndr)) fu un insigne storico dell'arte, il primo ad aver colto, in tutta la sua portata, la centralità e il significato del restauro. Firma prestigiosa del "Corriere della Sera", pubblicò un gran numero di volumi, tra cui tanti diari di viaggio. “Brandi viaggiatore è un ‘visionario’ - scrive Elisabetta Rasy - ma di una specie del tutto particolare: mette a fuoco non la terra del viaggio, ma lo stile del viaggiatore. I luoghi cambiano per dare forma a una particolare geografia, la geografia della Bellezza, e a un particolare paese, il Paese della Visione”.

L’incipit di “Pellegrino di Puglia” (Laterza 1960) è una vera e propria dichiarazione d'amore di Brandi per la nostra regione: “Questo viaggio non è un viaggio, ma tanti viaggi. Eppure è un solo Viaggio, per l'amore che io porto a una terra, che non mi ha visto nascere, che non mi ha visto fanciullo e neppure fu teatro di un primo amore”. La scoperta non si arresta al primo né al secondo, né al terzo viaggio: non finirà mai, “perché è un paese, la Puglia, come il mattino, un mattino limpido, un mattino di sole liquido. Il mattino sarà sempre lo stesso, ma non viene mai a noia. E ha sempre qualcosa di nuovo, nel suo spettacolo sempiterno”.

In questo viaggio tutto pugliese, Brandi tocca anche il Gargano: è accompagnato, tra Rodi e San Menaio, e poi in Foresta Umbra (foto 1 sotto, anni ’50), da due amici milanesi: Elio e la piccola Elisa. “Fu Elisa a pretendere la gita a dorso di somaro - ricorda - A me, quelle colline impenetrabili di verde, bastava guardarle anche dalla riva ché, in quanto a spettacolo, sembravano una sponda del Bosforo. Ma Elisa aveva voglia del sole che scende come il semolino dal fogliame fitto degli alberi, dell'odore dell'umido che esala dalla terra in ombra, come se raccontasse un segreto, e del puzzo della pelle dell'asino. Fu categorica soprattutto sull'ultimo punto”.

In realtà, i tre non viaggiano con un asino, ma due muli e un cavallo. Sono guidati da alcuni giovani rodiani, reduci da una giornata di lavoro. Il piccolo guadagno insperato - in quel periodo non c'è un solo turista a Rodi - li rigenera, rendendoli allegri e disponibili a effettuare l’insolito percorso. Brandi, Elio ed Elisa, issati su quei basti durissimi, percorrono ardue salite e pendii vertiginosi. I rovi e i tralci della rigogliosa vegetazione insidiano pericolosamente i loro visi. Non si fa in tempo a scostarli. Di dolce, suadente, vespertino, resta l'odore dell'erba, della terra in perenne gestazione. I raggi del sole non vengono giù come il semolino, ma in lunghi sottili dardi, più fini degli aghi di pino. Sul piccolo sagrato di una chiesetta di montagna, il mulo di Elio si mette a scalciare: la sua è una ‘protesta sindacale’ per l'aumento di lavoro, proprio quando l'odore della stalla lo stava già aspettando.

“Di lassù - commenta Brandi - la veduta è altrettanto bella che dal basso, occorre riconoscerlo: e intanto c'è un elemento inatteso, come ad essere in un giardino all'italiana, e cioè i grandi lecci potati a fare spalliera per salvare dai venti gli agrumi”. La costa sembra prendere la rincorsa, veloce, linda. Dopo Rodi, sporge il picco di Pèschici (così bello a distanza, quanto modesto da vicino). La comitiva riprende a salire e scostare rami e spine, non sempre con fortuna. Brandi sente parlare di una sorgente, ma non ha nessuna voglia di fermarsi. Superato il crinale, la macchia finisce. Sull’altro versante ricominciano gli ulivi e le viti.

La veduta di lassù è dolce e sommessa, offre un’ampia apertura: si scorgono il lago di Varano e il mare in miniatura. Specchi d’acqua simili a giocattoli, “che si possono vedere dipinti nello sfondo d'un pittore umbro, ma non si ha mai la fortuna d'incontrarli realmente fra i rami delle querce in fondo ad un declivo di ulivi”. Il sole, ormai quasi a metà percorso, ha quella temperatura di vapori che lo rende un pezzo di pittura fiamminga. Ma ‘pittura’ è il paese tutto, “con quel tono verdognolo, pareggiato, senz'ombre forti e senza netti scarti di tinte: dal verde si arriva all'azzurro del lago e di lì al mare, come portati per mano, quasi senza accorgersene”.

I tre scendono per un viottolo ‘sassosissimo’. Arrivano alla fontana da dove sono partiti: “Ormai s'era diventati amici e ci offrivano case, camere, per la villeggiatura: a poco prezzo, un tanto a testa, come se si affittasse tutto un quartiere”. Questa gita è il preludio all’escursione che Brandi farà alla Foresta Umbra, “un tributo necessario, da pagarsi una volta e non pensarci più”. «Quel che è sicuro, ad arrivarci, offre un percorso stupendo - commenta. - Si comincia da San Menaio, che è dentro una pineta così bella, vasta, e a scivolo sul mare”. Un luogo davvero incantevole, adatto per le coppie “novellamente formate”. L’invito è a venirci, in questo Paradiso.

Attraversata la Pineta Marzini (foto 2, con la Baia di Calenella), che a una certa altezza lascia spazio a una campagna bella e vigorosa, dopo “un paesello che si chiama Vico” comincia a intravedersi la Foresta Umbra. Ed è come quando, in un’orchestra, si accordano gli strumenti. All'inizio c'è un brusio di alberi giovani, magri come pali: sono i castagni e i noccioli. Prime avvisaglie che preludono a uno spettacolo naturale grandioso, fuori dal comune: tronchi di faggio lisci e diritti come ciminiere salgono dal fondo valle e mandano fuori grandi dilatate ramaglie. Si susseguono poi “le palme spalancate degli aceri, e le frappe smerlate, capricciose dei cerri: e noccioli, e sotto tutto questo le felci umide simili a quelle di un acquario”.

Una dolce foresta silenziosa, altissima nel cielo, profonda dentro la terra, e piena di luce aperta, mediterranea, come se a quel verde fossero mescolate tante pagliuzze d'oro. Una foresta luminescente che suggerisce a Brandi una insolita visione micaelica: “Quando le nuvole dense scendono come ad allattare queste cime fronzute, quando il sole mordente le assapora, quando i venti che s'incanalano nell'Adriatico le squassano, dentro il Gargano, l'Arcangelo vestito da toro, si stende sotto la foresta incantata, e dorme lentamente sognando il Signore”.

Teresa M. Rauzino

 Corriere del Mezzogiorno (foto A. Ambrosini)

 

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