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30/09/2008

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APE REGINA AFGANA

Clicca per Ingrandire Spiaccicata come una mosca. Sulla porta di casa, con un colpo secco, accompagnato da un senso di liberazione dal fastidioso ronzio e dall’irritante insistenza. Le mosche delle torride e polverose regioni arabe sono speciali. Le loro ventose sono micidiali. Dove si posano, si appiccicano. Non c’è altro da fare. Perché col classico colpo di mano le sposti appena, ma non riesci a scacciarle.

Malalai, però, non era una mosca. Malalai Kakar era un’ape tenace e laboriosa, che aveva scelto di impollinare il giardino della democrazia tra le strade di Kandahar, la capitale storica dei Taliban. Per restituire a quei fiori chiamati “donne” dignità e spazio adeguato a crescere in pace. Un’ape operaia dedita a combattere i crimini contro le donne, che da quelle parti, secondo una interpretazione tutta talibana delle scritture coraniche, sono appena considerate alla stregua di capre. Il fascino della divisa da poliziotta, lo sguardo fiero del coraggio e il piglio responsabile di una coscienza civica, ereditata in famiglia, ne facevano un mito, per tante paure e tante speranze al riparo dei “burqa”. Accrescendone carisma e popolarità.

Il suo nome, Malalai, riportava alla dolcezza di un’altra eroina afgana. Che col miele del conforto e la cera delle parole, nell’Ottocento, rincuorava gli uomini impegnati nella lotta di resistenza contro l’occupazione inglese. Volutamente l’hanno scambiata per una mosca. In verità, Malalai Kakar era un’Ape regina. Lo era già per il figlio che era con lei, sulla porta di casa, lo sarà da oggi anche per tutto il grande alveare delle donne afgane.

Antonio V. Gelormini

 Redazione

 

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