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29/09/2008

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ALITALIA, PACCO… DOPPIO PACCO… E CONTROPACCOTTO

Clicca per Ingrandire Mentre i motori di Alitalia, dopo l’accordo con i piloti, riprendono a rullare e si apprestano a tornare nei cieli, sotto le insegne della nuova Compagnia Aerea Italiana (Cai), a Bruxelles scendono dalle nuvole. Non capiscono. Hanno ancora nelle orecchie gli echi gridati di una campagna elettorale, condotta all’impronta allarmistica della “svendita” della compagnia di bandiera, addebitata al governo Prodi. Tanto che mai difesa del tricolore fu più strenua, da parte soprattutto di chi del verde ne ha fatto ragione di identità popolare cisalpina, e non intende vederlo sostituito dal rivoluzionario ma più nobile bleu transalpino.

Non capiscono come adesso la si possa regalare, dicendo pure “grazie”. La cosa avrebbe un senso, se si fosse riusciti a rifilare nel pacco-dono tutti gli ingenti debiti di una compagnia di bandiera allo sfascio. Invece saranno gli italiani a ritrovarseli nella calza, come sorpresa annunciata, il 2 novembre. All’indomani della stipula del contratto d’acquisto della cosiddetta “polpa” buona di Alitalia, tra la cordata Colaninno e il commissario stesso della vecchia Alitalia.

Non capiscono come, alla faccia dell’italianità sbandierata e rivendicata come condizione sine qua non, prim’ancora di dar vita al nuovo soggetto societario, già ci si divida sul partner straniero. Il solo in grado di assumere quel naturale ruolo strategico, nel complesso e moderno sistema dei trasporti, mancante del tutto allo zibaldone imprenditoriale messo insieme per l’occasione.

Prima Jean-Cyril Spinetta e poi Wolfgang Mayrhuber, numeri uno di Air France e Lufthansa, lo hanno fatto capire a più riprese: “La cosiddetta cordata italiana non ha massa critica finanziaria, né potenzialità operativa, per reggere l’urto della concorrenza globale”. E così mentre la sfida intercontinentale esigerebbe azioni di sistema in Europa, per far fronte allo tsunami dei grandi vettori dell’Estremo Oriente, le lacerazioni sull’opzione francese o tedesca, e sull’hub a Malpensa o a Fiumicino, già imperano alla grande sullo scenario nazionale.

Alla luce della piega degli eventi c’è da dire che entrambi gli ultimi governi hanno giocato pesante sul condizionamento della scelta del partner internazionale. Doveva essere una gara tra aspiranti ambiziosi per la compagnia di bandiera italiana. E invece non solo l’Alitalia rischia di rimanere, sul fronte finanziario, come “la zita di Ceglie”, quella che tutti vogliono ma nessuno la piglia. Ma comincia a serpeggiare l’idea che basterà aspettare: tanto la pera cadrà al primo aumento di capitale. E se non bastasse, il governo stesso rischia di spaccarsi tra Roma e Milano. Ci sarebbe da temere per il Paese, se non fosse che, lungo la frontiera della questione meridionale, la frattura è già storicamente e socialmente radicata.

Antonio V. Gelormini

 Redazione

 

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