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03/09/2008

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QUANDO TREMITI ERA UN BAGNO PENALE

Clicca per Ingrandire «Davanti al viaggiatore francese le porte si sono aperte, le mani si sono tese», scrive Émile Bertaux visitando il Sud Italia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Personalità di spicco dell’École française de Rome, il giovane studioso pubblicherà nel 1904 “L’Art dans l’Italie méridionale”, pietra miliare dei moderni studi di storia dell’arte del Medioevo. Nonostante la distanza di idee e concezioni, Croce gli attesterà la sua grande stima.

Bertaux intreccia rapporti con i maggiori intellettuali del tempo, negli stessi anni in cui effettua i suoi viaggi nelle zone più impervie e desolate dell’Italia meridionale. Suo compagno di avventura è Jules Gay, che studia la presenza bizantina nel Sud (“L’Italie méridionale et l’empire byzantin”, Paris, 1904), e nel contempo ricerca negli archivi di Monte Cassino le fonti latine dei secoli 10° e 11°. Appassionato cultore della civiltà angioina, Bertaux entra a far parte della Società napoletana di Storia patria, condividendo il pensiero dei più illuminati meridionalisti: Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini e Francesco Saverio Nitti.

In un reportage de “Le tour du monde” (giugno 1899), tradotto da Antonio Motta, parla di un viaggio sul Gargano. Giunto a Rodi, quando vede il profilo delle Tremiti stagliarsi sull'orizzonte, non può resistere alla tentazione di visitare le isole che, un tempo, avevano dato vita al “regno fantastico di Diomede”. Troppi riferimenti storici lo spingono in quella direzione. Se non può sperare di scoprire la tomba di Giulia, che morì in quello scoglio sperduto dopo essere stata esiliata da Augusto, conta di trovare almeno le rovine di quella abbazia che aveva fatto dell’Isola di San Nicola una Montecassino in mare aperto (foto del titolo; ndr).

E così un bel mattino noleggia una barca di pescatori. Il viaggio è avventuroso. I marinai, prudenti come i compagni di Ulisse, non puntano diritto sulle isole. Seguono un’usanza antica costeggiando il Gargano fino alla punta che separa le lagune di Lesina e Varano, e dista da Tremiti solo una ventina di miglia. Ma a mezzogiorno non riescono ancora a inoltrarsi in mare aperto: c’è calma piatta, “bonaccia morta”. Bertaux, in pochissime ore, ha modo di apprendere tutto il nutrito repertorio che un pescatore del Gargano «può proferire contro i Santi e Cristo in persona, quando è scontento di loro».

Arrivata la sera, giocoforza i marinai devono rassegnarsi. Gettano l'ancora dinanzi alla spiaggia deserta di Varano. Dormiranno tutti, alla meno peggio, nella barca stessa, sotto la grande vela. Il giorno successivo, prima dell'alba, il vento di terra trascina finalmente l’imbarcazione al largo e alle undici del mattino, sono trascorse più di ventiquattro ore dalla partenza da Rodi, Bertaux sbarca finalmente alla piccola «marina» di San Nicola.

Carabinieri e guardiaciurme, armati fino denti, lo aspettano sulla spiaggia: quest'isola infatti, come l’Elba e una delle isole Ponza, funge da bagno penale. Il giovane viaggiatore tira fuori dalla tasca l'autorizzazione ufficiale a visitare le prigioni e le caserme, concessagli con perfetta cortesia dal governo italiano e sotto buona scorta s’incammina, oltrepassando i passaggi delle mura fiancheggiate da torri, percorrendo un dedalo di fortificazioni del 16° secolo (foto 1 sotto). Il direttore della prigione lo riceve molto amabilmente, lo invita a pranzo e gli fa preparare una stanza. Il pomeriggio e la mattinata seguente sono appena sufficienti per fare un’attenta ricognizione di tutte le maestose architetture.

L'abbazia, così arditamente costruita dai monaci Benedettini sugli scogli, non ha conservato le antiche costruzioni anteriori alla fine del ‘500. Soltanto la chiesa conserva un bellissimo pavimento istoriato con un mosaico del 12° secolo e un magnifico “retablo” (pala d'altare; ndr) veneziano di legno scolpito e dorato. La facciata della chiesa di Santa Maria a Mare, decorata con buone sculture, porta impressi «i buchi delle palle di cannone che nel 1809 la flotta austro-russa lanciò contro il battaglione cisalpino che difendeva l'isola in nome di Napoleone». Ma il bastione tremitense non è nuovo a questi furiosi assalti: «Già, nel XVI secolo - precisa Bertaux - la superba fortezza, allora in possesso dei (Canonici) Regolari Lateranensi, aveva resistito coraggiosamente all'attacco dei vascelli turchi, comandati dal pascià Pialy».

Per Bertaux è giunto il tempo di lasciare l'isola, il vento si è alzato. Per tornare in terraferma, noleggia una barca di pescatori che fa rotta per Termoli. La bora aspra e fredda solleva la barca leggera, le onde alte spumeggiano, sciabordando. Un branco di delfini appare sulla scia del natante sfidando i marinai alla corsa. Bertaux si lascia trasportare dall’immaginazione in un viaggio a ritroso nel tempo… Quel battellino si trasforma nelle agili “fuste” che avevano trasportato, “verso la montagna cinta di nuvole”, i pirati musulmani, ellenici e illirici. In quelle stesse acque, i delfini (che qui sono una presenza familiare) ascoltavano la musica delle isole greche popolate di “poeti che avevano trasportato sui flutti dell’arcipelago il cantore di Lesbo”. I gabbiani che sfiorano la barca, lanciando un grido di richiamo, non sono forse i compagni di Diomede che Zeus, dopo la morte dell'eroe, trasformò in uccelli marini - le diomedee, appunto (foto 2) - perché potessero vegliare per sempre sulle sue spoglie?

Il flusso dei ricordi “classici” viene bruscamente interrotto: un marinaio intona una canzone in netto contrasto con il ritmo lento e doloroso dei canti dei montanari del Gargano. Un nome colpisce Bertaux: “Caserio!” E’ il nome di un anarchico italiano che il 1894 aveva pugnalato a morte il presidente della repubblica francese Carnot. Altre parole come “Sociale, l'Internazionale...” suonano strane sulla bocca di quegli uomini semplici. Un altro marinaio, trascinato dall'esempio, inizia a cantare “L'Inno dei Lavoratori”.

In un lampo, Bertaux capisce tutto: «Quelli che avevano portato questi canti di nuove battaglie nell'isola di Diomede, di Giulia Augusta e dei monaci di San Benedetto, erano gli ottocento uomini di ogni nazione, di ogni sorte, che il capriccio di un ministro dittatore aveva riunito su quest'isola in cui dovevano trovare, secondo un amabile eufemismo, il domicilio forzato, coatto. Gli isolani di Tremiti cantavano al mare le canzoni sovversive degli “anarchici” di Crispi».

Teresa Maria Rauzino

(Articolo pubblicato il 31 luglio sul Corriere del mezzogiorno-Corriere della sera, primo della serie di reportage: Viaggiatori del Gargano)

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