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25/08/2008

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ANORESSIA VINTA DALLA FAME DEL POVERO (10.a puntata)

Clicca per Ingrandire La simpatica aneddotica di e su Matteo Salvatore è sconfinata, ed egli stesso ne narra a centinaia, nelle memorie dal titolo “La luna aggira il mondo e voi dormite”, pubblicate da Stampa Alternativa nel 2002. A partire dalla sua condizione di bambino poverissimo, eternamente affamato, che un giorno si vede invitato a pranzo dal ricco e avaro medico del paese perché la sua fame colossale avrebbe risvegliato l'appetito perduto del figlio anoressico.

La guarigione avvenne dopo alcune settimane in cui il povero Matteo poteva avere finalmente il suo pasto quotidiano, mitica carne compresa, ma gli costò la fine degli inviti a pranzo e la paura di morire di fame come era già avvenuto alla sua sorellina, tant'è che Matteo andò in chiesa a pregare perché quel bambino si ammalasse nuovamente di anoressia. Ed è proprio la fame maledetta, il tema costante delle poetiche ballate di Matteo Salvatore il quale, però, raramente affronta il tema doloroso in termini di lamento o di diretta protesta sociale, ma quasi sempre usa il registro dell'ironia. Come nella ballata della gatta traditrice che durante la veglia per la morte di un pover'uomo, mangia le salsicce lì appese al soffitto, così procurando un «doppio dolore, marito mio» alla vedova sconsolata. E la sua fine e intelligente ironia gli servirà dopo, da giovane soldatino, per farsi beffe della stupidità dei gerarchi fascisti.

Matteo Salvatore, nato nel 1925, padre bracciante disoccupato, madre con vocazione poetica che deve mendicare per sfamare gli otto figli, accompagna da bambino il centenario maestro Pizzicoli, cieco, suonatore ambulante di violino, mandolino e chitarra, uno di quei personaggi da romanzi di Victor Hugo, usciti direttamente dall'Ottocento per tramandare ai posteri la grandezza della canzone classica napoletana. Il maestro, morto all'età di 102 anni e sepolto col suo violino, lasciò la chitarra al piccolo Matteo che ne fece buon uso.

Nel dopoguerra, passati i vent'anni, tra fame e miseria, Matteo, già sposato ma ancora analfabeta, decide di dare una svolta alla sua esistenza andando a Roma in carretto-stop. Si guadagnava da vivere con la sua chitarra cantando canzoni napoletane nei ristoranti della capitale. Fu lì, da «Gigetto er pescatore», che ebbe l'incontro della sua vita con il regista De Santis, il quale ascoltandolo, decise di farlo cantare in un suo film. L'impegno che De Santis affidò a Matteo fu quello di riscoprire la tradizione musicale pugliese (testimonianza diretta del Maestro nel VIDEO della SETTIMANA; ndr), ma Matteo, pur girando la Capitanata e pur spendendo la somma affidatagli, non riuscì a ritrovare le tracce della dimenticata, e ormai segreta, musica tradizionale, riscoperta in seguito in termini di tarantella del Gargano e di pizzica dai musicologi.

Fu così che Matteo decise di creare la sua musica, senza rifarsi ad alcuna tradizione pugliese, raccontando senza retorica, con l'ironia a lui consueta, l'esistenza degli uomini, soprattutto di quelli “vinti” in questa parte del mondo, a quel tempo affamata. La sua mano arpeggiava sulla chitarra note deliziose, la sua voce cantava parole intelligenti, in lui la poesia era davvero “poiesis”, come nell'antichità omerica, un tutt'uno tra parole e musica: le parole, così belle, si facevano musica da sole - ci disse una volta - la musica usciva dalle parole stesse. Le sue canzoni bellissime fecero il giro del mondo, arrivò così il successo e il denaro e imparò finalmente a leggere e scrivere.

Noi crediamo che il grande cantastorie pugliese abbia svolto una funzione letteraria importantissima in una regione come la Puglia che non ha avuto romanzieri che hanno narrato la storia dei vinti. Non è un caso che, dopo il grande poeta contadino di Apricena, sia toccato a un operaio come Tommaso Di Ciaula dare la stura alla letteratura «sociale» in Puglia, prima di arrivare ai recenti scrittori «colti», finalmente venuti allo scoperto.

Ciao Matteo, poeta grande e filibustiere.

Raffaele Vescera


 pizzicata.it

 

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