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25/08/2008

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"La Barchetta di Virginia"

Clicca per Ingrandire «Una volta un’alunna - Virginia si chiamava, e scriveva racconti molto belli - fece una barchetta. Ci scrisse “Da Virginia al professore” e me la diede. Da allora vado al lavoro con la barchetta di Virginia nella borsa. Quando mi sembra di non farcela, la tiro fuori e la sistemo sulla cattedra. La guardo per un po’. La guardano i miei alunni. Qualcosa succede. Nessuno - né io né loro - sa bene cosa succede. Ma qualcosa succede».

Antonio Vigilante chiude così "La barchetta di Virginia. Manifesto per una scuola improbabile" (nella foto il disegno di copertina; ndr), edito da Rainone ne “La CataPulta-Polemiche Proposte Provocazioni”, una collana che si propone “di scagliare, oltre la cinta muraria dei benpensanti, palle di fuoco per incenerire luoghi comuni, bei pensieri e comportamenti ormai sedimentati”. Un pamphlet bellissimo, provocante e dissacrante, quello di Vigilante, che mette a nudo, dal di dentro, le contraddizioni della scuola italiana, i suoi riti, il suo linguaggio.

Una scuola abitudinaria, che non accetta neppure le piccole novità, perché destabilizzanti. Ha ancora i banchi, le scomode, orribili sedie di legno, le cattedre, le stesse identiche strutture che aveva nell’Ottocento. Nessuno ha mai pensato a un ambiente diverso, più familiare, più accogliente, più libero, con un arredo diverso, primo passo per una scuola diversa. Si continua a discutere su ‘cosa’ insegnare, un po’ meno su ‘come’ farlo, per nulla su ‘dove’ farlo.

Ma anche gli alunni sembrano restii a un rapporto nuovo coi docenti: è il rapporto ‘autoritario’ quello che preferiscono. Sono stati abituati ‘ab immemorabili’ a questo finto rispetto, sedimentato nel loro DNA da generazioni. Guai, per i prof, farsi scoprire autorevoli e diversi! Guai a farsi scoprire con un sorriso! Scolaresche vocianti, sempre pronte a creare una bolgia inimmaginabile, ad alzarsi, girare liberamente per le aule e per i corridoi, parlare, urlare, ridere. E la Pedagogia deve essere messa da parte, dimenticata, anche dal prof che a quei principi ci crede veramente, pena lo spezzarsi del fragile equilibrio instaurato d’autorità.

In questa scuola difficile, in cui sembra assente qualsiasi vera comunicazione, gli studenti sono restii alla sua ‘vicinanza’: il primo giorno di scuola c’è la corsa a occupare non i primi posti, ma quelli in fondo o defilati, ai due lati, il più possibile lontani dalla cattedra. Diventa una sicurezza stare lontani, il più possibile lontani dallo sguardo del professore. La scuola attuale, che Vigilante definisce ‘dal fiato corto’, è espressione della società italiana, che sta attraversando una profonda crisi, non disponendo più di un sicuro orientamento culturale. Resta una pseudo-cultura della competizione e dell’affermazione personale, alimentata dall’inciviltà della televisione, di cui pochi fanno a meno, diventata la vera educatrice delle nuove generazioni.

A scuola regna il conformismo borghese, l’uso di simboli identitari, branditi come amuleti per esorcizzare la diversità religiosa, il provincialismo, veri nuclei dell’identità italiana che sopravvive al mutare dei regimi politici. In questa situazione, c’è poco o nulla da insegnare, a scuola. Una scuola vera in Italia è improbabile, avverte l’Autore, che però non rinuncia alla sua ‘mission’: far scoprire ai suoi studenti la bellezza, la cultura come ricerca comune, il lavoro manuale e creativo accanto a quello intellettuale, la laicità vera, il valore dell’informazione e del dialogo.

Vigilante mette in campo diversi mondi possibili, come tutte le utopie. Forse mai pensate da docenti assuefatti alla routine, che vedono gli alunni come semplice materiale umano piuttosto che interfaccia per una comunicazione reale, oltre il formalismo e le gerarchie. Ha riflettuto molto, l’Autore, su un motto di Danilo Dolci: «Ciascuno cresce solo se sognato». E’ la frase che scriverebbe all’ingresso di ogni scuola, magari sotto la statua della Pedagogia.

Non è possibile insegnare nulla a chi non si ama, così come non è possibile amare chi non si conosce. Conoscenza-amore-conoscenza diventano le parole-chiave, il leit motiv di una destabilizzante, rivoluzionaria comunicazione educativa basata su un reciproco riconoscimento. Un rapporto basato su quello che egli chiama ‘Eros pedagogico’. Vigilante sogna non studenti improbabili, ma studenti veri, che hanno in nuce “altro da quel che sono”. Un sogno possibile. Basta non disprezzare il loro vero essere come una colpa, basta non scartarli come ‘materiale umano’ privo di interesse! Vedere in loro, con lo sguardo del prof che sa guardare oltre, le persone che saranno domani, anzi che cominciano a essere oggi. Anche loro lo guarderanno con occhi diversi. Per quanta rabbia possano avere, non potranno più restare gli stessi, se qualcuno è giunto a sognarli.

La scuola ‘improbabile’ di Vigilante favorisce quindi rapporti umani profondi e significativi, una relazione educativa ‘erotica’ reale. Sono abolite le gerarchie, è abolito il libro di testo, è abolita l’autorità. Dalla scuola, centro di ricerca, si diffonde nella società il senso di una cultura libera, non più ‘affaire’ di una ristretta cerchia di intellettuali, ma costruzione sociale, ricchezza scrupolosamente condivisa.

Teresa Maria Rauzino

 Redazione

 

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