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24/08/2008

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I QUATTRO ANNI DI CARCERE (9.a puntata)

Clicca per Ingrandire Due mesi fa, il 16 giugno, avevamo festeggiato il suo ottantesimo compleanno a Lucera, nel bel Palazzo D'Auria, recuperato ai vecchi fasti da Giuseppe Trincucci, medico e storico, che aveva organizzato una festa per il vecchio poeta di Apricena. Matteo Salvatore cantò e suonò alcune delle sue ballate più belle, con voce e mano malferma, lui che aveva, fino a pochissimi anni or sono, la voce acuta e cristallina, dolcissima, e suonava la chitarra come un maestro d'arpa d'altri tempi, ma tant'è, l'ingiustizia della morte aveva già cominciato il suo cammino.

Matteo soffriva di diabete, un male che lo costringeva sulla sedia a rotelle da qualche anno, e di asma, eppure fumava ancora come un turco, nonostante le proibizioni, ma questo era nel suo carattere di uomo libero, non riconducibile ad alcuna regola, poiché il suo punto di vista sull'esistenza era prendere dalla vita e dagli uomini quello che desiderava e ripagarli solo con la grandezza della sua arte.

Il suo manager e amico Angelo Cavallo, produttore musicale di Foggia, nel libro curato insieme a chi scrive sulle memorie di Matteo Salvatore, ricorda l'aneddoto di quando, dopo una giornata zingaresca passata in giro per il Gargano, a cena Matteo pagò il conto del ristorante a suo modo, sfoderando la chitarra. Ma questo è nulla di fronte alle beffe che giocava agli amici «ricchi», quali i foggiani Renzo Arbore, Arnaldo Santoro, l'architetto Telesforo, papà di Gegé, e tanti altri, che avevano preso a cuore il cantastorie analfabeta di Apricena, gli stessi che avevano “brigato” e si erano spesi per tirarlo fuori dalle carceri della Repubblica di San Marino, dove Matteo (nella foto dell’epoca; ndr) era stato rinchiuso negli anni Settanta con l'accusa di omicidio passionale della sua compagna, una cantante da lui molto amata, per la quale aveva lasciato moglie e figli.

I quattro anni di carcere “per amore”, in quel di San Marino, gli costarono carissimo, la fine di una carriera fino a quel momento impetuosa. Nell'Italietta di allora, era impensabile che un uomo potesse amare una donna “non legittima coniuge” e la televisione di Stato e i produttori decretarono il blackout del cantastorie pugliese che si ritirò “in esilio” sul mare garganico, a Mattinata, a vivere da povero, come lo era sempre stato nella sua vita, a parte le parentesi ricchissime di quando vinse miliardi al totocalcio e di quando raggiunse il successo.

Ma quei quattro anni gli costarono carissimo anche per il conto stratosferico accumulato con un ristorante di San Marino, al quale Matteo ordinava pranzi luculliani per i numerosi artisti e amici che gli facevano quotidianamente visita da tutta Italia, pare cinquanta milioni di lire di allora, vale a dire cinquecentomila euro, al valore di adesso. E si narra che i soliti grandi amici, pur di farlo uscire, pagarono anche quel conto. (Fine 1.a parte)

Raffaele Vescera


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