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22/08/2008

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MATTEO E TERESA (8.a puntata)

Clicca per Ingrandire CRAJ, sia in pugliese sia in napoletano, vuol dire domani. Ma anche il titolo di un’opera teatral-musicale diventata film, di cui uno dei protagonisti - con Teresa De Sio e Giovanni Lindo Ferretti (ideatori), Uccio Aloisi, I Cantori di Carpino - è stato… Matteo Salvatore! Perché proprio lui? Perché “ha vissuto una giovinezza di miseria e di analfabetismo, riscattandosi poi con la dolcezza della sua chitarra e la forza poetica delle sue parole. Un riscatto accompagnato da mille follie, poiché egli sfugge a ogni regola e a ogni legge, arguto e imprevedibile come ogni lazzarone, geniale e sregolato, un vero artista ... non ricorre esplicitamente ad alcuna tradizione: inventa un nuovo stile anticipando la generazione dei grandi cantautori italiani che riconoscono nel cantastorie pugliese il loro maestro”.

La gioia di averlo avuto nel cast è smorzata dalla notizia della morte. “Lo ricordiamo con l'affetto e l'ammirazione di sempre – dicono tutti di lui. - Una leggenda che non smetterà mai di illuminare i nostri passi. Indimenticabili le sue canzoni, la sua statura di artista, ‘Craj’ la sua ultima avventura e gli applausi del pubblico che illuminavano il suo volto. Una scintilla rimasta fino all'ultimo”

E Teresa aggiunge il suo personale ricordo e saluto. “Matteo è stato un vero uomo del Sud. Della vita ha conosciuto la durezza e la dolcezza, l’aspro e il passionale, e queste cose le ha sempre trasformate in musica.

Quando ho incontrato Matteo per la prima volta (circa due anni fa) per me era già una leggenda, conoscevo a memoria le sue canzoni, le cantavo, sapevo della sua vita difficile e turbolenta. Pensavo che avrei trovato un uomo ‘domato’. Invece lui era una tigre. Inchiodato dall’indigenza, già molto malato, dimenticato da molti. Abitava in un monolocale a pian terreno in una sgangherata via di Foggia. Una tigre sulla sedia a rotelle. Matteo non voleva mollare.

Quando gli parlai di ‘Craj’, lui disse: ‘Se facciamo questa cosa io campo un altro anno’. Ostinato nella vita è riuscito a camparne altri due. Mi sembrò che in lui ci fosse una vena di follia, ma non di quella follia che è elusiva della realtà, anzi, Matteo emanava un’intera ‘versione del mondo’, poeticamente compatta, diversa e niente affatto subalterna.

La povertà dell’infanzia, il lavoro, la vita dei braccianti, gli amori, le donne. Le donne, che hanno avuto parte importante, grave, nella sua vita, gioco sulla sua anima, peso nelle sue canzoni. Non so se Matteo sapesse di essere un “grande”. Forse aveva accolto questo suo destino eccentrico di cantastorie maledetto, come un pescatore che si rassegna alla mareggiata.

Se avesse avuto più fortuna sarebbe stato ricco come Modugno (che peraltro come lui stesso mi ha raccontato, lo amava molto e con cui lavorò). Se fosse stato un ragazzo degli anni settanta sarebbe stato una sorta di Syd Vicious. Se il mondo della cultura e della musica del nostro paese fosse meno volubile, ingrato, disattento e mercenario, Matteo oggi sarebbe celebrato da molte più persone.

Io lo saluto, alzando a lui il mio brindisi (come gli sarebbe piaciuto). Continuerò a cantare le sue canzoni, perchè sono belle e perché so che le cose che hanno radici così forti, col tempo, non possono che fiorire di più”.

 digilander.libero.it

 

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