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25/08/2008

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Quando i turisti erano eroi in diligenza

Clicca per Ingrandire Autorevoli studiosi come l’abate Saint-Non, Gregorovius, Bertaux, Beltramelli, Douglas, Ungaretti, Miller, Green, Brandi, con le loro interessanti impressioni da "grand tour", hanno fatto scoprire al mondo degli intellettuali, ma anche al grande pubblico che amava conoscere il mondo attraverso i resoconti di viaggio, l’essenza più intima e inedita del Gargano, un territorio suggestivo per i suoi splendidi paesaggi e il suo innato misticismo.

Ma come si viaggiava agli inizi del Novecento sulle strade brecciate dell’impervio Promontorio del Gargano non ancora toccato dal turismo di massa? Ce lo raccontano due famosi giornalisti del tempo, Francesco Dell’Erba (di origini viestane, redattore del "Giornale d’Italia" e corrispondente da Napoli del "Corriere della Sera") e Antonio Beltramelli. I loro réportage, ripubblicati da Mimmo Aliota in " Vieste nel primo Novecento" (Litostampa), ci proiettano nel periodo in cui il tratto stradale Viesti-Foggia si copriva dopo ben sedici ore di disagiatissimo viaggio. In particolare Dell’Erba, nello " Sperone d’Italia" (1906), lamenta le condizioni della strada provinciale per Apricena, "bianca ed interminabile, piena di svolte difficilissime, di faticose salite e di discese precipitose".

Un viaggio veramente snervante, effettuato in diligenza, "grossa gabbia sgangherata", cigolante e stridente "come un’anima in pena". Il passeggero, soggetto ai rigori del freddo invernale o al caldo estivo cui si aggiungeva il ronzare incessante e fastidioso di mosche pungenti, veniva sovente sbalzato violentemente all’interno della vettura. Finiva col "baciare il compagno di viaggio seduto di fronte". Quando dirimpetto c’era una signora, il povero viaggiatore, per evitare lo scabroso contatto, si sentiva obbligato a tenere le ginocchia strette al petto, e a soffrire - conclude dell’Erba - pene degne della Santa Inquisizione. Ogni tanto i viaggiatori erano costretti a scendere e a fare larghi tratti a piedi, "o perché un uragano ha rotto un ponte o perché la strada è franata o perché è troppo ripida la salita". L’arrivo a Vieste veniva salutato ogni volta come un grande evento, specie se a scendere dalla diligenza era un forestiero. Intorno a lui si intrecciavano le più ardite supposizioni, come se fosse un essere fantastico e favoloso, venuto misteriosamente chissà da quale paese lontano.

La testimonianza di Dell’Erba focalizza un problema oggi solo parzialmente risolto: il sottosviluppo dell’area, dovuto anche alle condizioni proibitive della viabilità: "E’ per la mancanza quasi assoluta di strade che il Gargano è rimasto da parecchi secoli indietro nei progressi della civiltà. Esso è sconosciuto in gran parte agli abitanti della provincia stessa, quasi stranieri gli uni agli altri, conoscendosi male, ignorando i reciproci bisogni, non tendono mai ad un’azione comune e al raggiungimento di un fine unico".

Anche il Beltramelli, che nel 1907 al Promontorio dedicò un frizzante réportage, espresse riflessioni analoghe: "Le diligenze del Gargano sono tutto ciò che di più antico, di più incomodo e di più indecente si possa immaginare. Veicoli sconquassati, cigolanti, pericolanti, che sobbalzano quasi per acuta doglia ad ogni minimo ciottolino, che traballano su l’orlo di frequentissimi precipizi, compiacendosi, nella loro antica esperienza, dello spavento dei viaggiatori nuovi; che dondolano, ondeggiano, beccheggiano in guisa sconosciuta, procurando a qualche creatura di stomaco debole un perfetto mal di mare. Queste sono le dolcezze a cui deve sottoporsi colui che abbia in animo di visitare una fra le più belle regioni d’Italia. Perché il Gargano è sì un luogo di incanti e di meraviglie, una delle più belle regioni d’Italia, ma è anche fra le regioni più dimenticate del nostro bel Regno".

Eppure qualcuno, nativo del luogo, già a quel tempo intuì che anche il paese meno raggiungibile del Promontorio (Vieste era denominata "La Sperduta") avrebbe potuto avere un futuro economico diverso, se soltanto si fosse ovviato al problema. A crederci e a far di tutto per concretizzare questo sogno fu un sindaco: Domenicantonio Spina, parente di Mimì Spina Diana, ex primo cittadino e deputato viestano. La viabilità fu il punto di forza della sua azione amministrativa: si batterà per il porto commerciale, per la ferrovia circumgarganica e per l’apertura della strada Vieste-Mattinata, molto più agevole di quella per Apricena. Un personaggio davvero fuori dell’ordinario, questo retto e intransigente amministratore della cosa pubblica, che smaschera anche "in alto loco" chi rema contro provvedimenti a suo dire "meritori", opere pubbliche "inderogabili" per la modernizzazione di una cittadina di 9mila abitanti come Vieste, ancora lontana dall’attivismo della "belle époque" giolittiana.

Questo sindaco non volle assolutamente sentir parlare di interessi personali. Fa una cosa eccezionale, se consideriamo i molteplici incarichi degli amministratori comunali di oggi: per attendere degnamente ai suoi impegni pubblici, chiude la sua farmacia per ben dieci anni e mezzo, l’intero periodo del suo mandato amministrativo: dal 16 gennaio 1899 al 31 luglio 1910. Le spese per le innovazioni della città le finanzierà con "coraggiose" imposte sul patrimonio e sul lusso: tasserà i cavalli da sella e da tiro, l’impiego dei domestici, i generi superflui.

Darà un vero e proprio scossone all’apatia delle precedenti amministrazioni, sistemando le strade principali e dotando Vieste di edifici e servizi pubblici essenziali: il municipio, la scuola, la pescheria, il mattatoio, il cimitero, le piazze e i viali. E i sindaci che verranno dopo di lui saranno "costretti" loro malgrado ad adeguarsi andando contro gli interessi dello stesso ceto sociale cui appartengono. A Domenicantonio Spina va il merito di aver aiutato Vieste a muovere i primi passi sui sentieri del turismo. Seppe "volare alto", guardando al futuro, oltre che al presente. Già dal 1899 trasformò una riva squallida, con un muro a protezione dell’abitato, in un bellissimo viale alberato, che in seguito farà illuminare con lampioni elettrici.

Negli Anni ’60, Enrico Mattei scoprì dall’alto la meraviglia di Pugnochiuso. In un mattino di sole del 1959, il mitico presidente dell’Eni, sorvolando col suo aereo personale la costa viestana, rimase tanto affascinato dalla sua bellezza che indusse il pilota a effettuare più di un passaggio. Quando giunse nei pressi di Pugnochiuso esclamò: "Ma questo è il Paradiso!". Il suo Centro turistico sorse proprio qui, nei primi anni Sessanta, dando l’avvio al turismo garganico. E fu un evento rivoluzionario.

La Riviera Marina di Vieste diventò in quegli anni la mitica "passeggiata" dei primi villeggianti d’élite nelle calde serate della "dolce vita" del Gargano Nord. Oggi, nei romantici sognatori di una Vieste diversa, è rimasto il ricordo delle belle signore in abito lungo che nelle sere d’estate sfilavano per Corso Fazzini, come su una passerella di moda. Il turismo non aveva ancora assunto l’aspetto omologante e caotico di oggi.

Teresa M. Rauzino

 Corriere del Mezzogiorno (06/06/2003)

 

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